Amnesia digitale? Un rischio collaterale

I social network sono ormai una parte importante della vita di milioni di persone, dando accesso a piattaforme online nelle quali è possibile condividere ogni istante della propria vita con altri utenti.
Un’abitudine che passa inosservata è quella di arricchire gli eventi della vita quotidiana attraverso i social network.

Il rischio di questa pratica? L’amnesia digitale, processo di rimozione degli eventi reali che portano al falso convincimento secondo cui i fatti che riferiamo siano effettivamente andati così come li abbiamo riportati su Facebook o Twitter. Induce a credere che i fatti riferiti e arricchiti con la nostra immaginazione siano realmente accaduti.

A lanciare l’allarme è lo psicologo britannico Richard Sherry sul quotidiano inglese Daily Mail. Un’abitudine che passa inosservata agli occhi di utenti fantasiosi e con il bisogno di rendere il racconto della loro vita quotidiana più esilarante che mai. Dal sondaggio effettuato dal sito britannico Social Networking Pencourage ben il 68% dei migranti digitali si diletta in questa pratica esagerando mentre documenta online un evento della propria vita.
Il fenomeno trova maggiore riscontro nei giovani , i quali avvertono la sensazione di apparire noiosi e dunque hanno la necessità di attirare l’attenzione.

Federico Tonioli, responsabile dell’Ambulatorio dipendenze da Internet del Policlinico Gemelli dichiara: “La differenza – osserva – è che ora ciò che rimaneva nell’ambito dell’immaginario, è sostituito dal digitale e quindi abbiamo anche la responsabilità degli aspetti ideali della nostra identità. Questo meccanismo è particolarmente evidente negli adolescenti, i quali vivono una discrepanza tra ciò che sono e ciò che vorrebbero essere, una scissione tra il sé ideale e la percezione della propria reale adeguatezza che può comportare un effetto assai rilevante sulla stima di sé. Nell’atto di modificare o di arricchire un fatto, riescono a tenere insieme gli aspetti del proprio sé legandoli a canoni sociali e culturali che rispecchiano le mode o i gusti del momento.
Nei social network tendiamo spesso ad avere un’identità costruita in modo ideale, un po’ come noi migranti digitali facevamo da adolescenti quando sognavamo ad occhi aperti il nostro futuro”, spiega Federico Tonioli.

Un’identità, quella adolescenziale, in continua trasformazione, è l’età delle tempeste emozionali, degli innamoramenti irrazionali, delle prese di posizioni estremistiche, della propensione al rischio e piena di compiti evolutivi da risolvere. L’esperto rileva inoltre che l’interazione sui social network non prevede il contatto fisico, diviene quindi possibile travalicare la dimensione concreta della relazione, essere chiunque e confondersi, anche perché non abbiamo un’identità salda, ma in divenire, soprattutto da adolescenti.
Per Tonioli, la responsabilità di tutto questo non è da attribuire al web in sé, che in questo caso, è solo un veicolo che serve ad amplificare certe problematiche, dipende tutto da noi stessi, da alcuni tratti della nostra personalità.

L’alto livello di soddisfacimento derivante dalla costituzione di un’identità illusoria e compensatrice di parti di sé sostanzialmente inesistenti provoca un aumento del livello di eccitazione derivante dall’idealizzazione di sé che prende forma attraverso il mezzo. Fondamentale, in questi casi, è il ruolo assunto dalla famiglia.

Bassi livelli di monitoraggio parentale, scarso supporto sociale (influenza del gruppo dei pari), possono in qualche modo agevolare l’assunzione di un comportamento che va a sostituire la propria identità reale con una fittizia, idealizzata e più soddisfacente. E’ una variabile rilevante il supporto genitoriale: la disponibilità ad ascoltare e a condividere i problemi dei figli durante tutto il percorso dello sviluppo dell’adolescenza incide positivamente sull’immagine di sé e ha una funzione protettiva sulle condotte potenzialmente patologiche.
Questo fenomeno potrebbe portare a qualcosa di molto più serio.
Lo psicologo Richard Sherry ritiene l’amnesia digitale un possibile effetto collaterale, sul lungo termine, generato dalle menzogne pubblicate sui social media.

Secondo Sherry, le bugie raccontate sui social media possono, con il tempo, andare a modificare completamente o rendere meno accurati i ricordi delle persone, avendo quindi un effetto tutt’altro che positivo sulle persone.
Per questo è necessario che la società inizi a prendere in considerazione, oltre ai benefici, anche i possibili effetti collaterali e disagi che i social media possono creare nelle centinaia di milioni di utenti, soprattutto i più giovani, che ogni giorno accedono senza filtri a questi portali.

Redazione

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