Supporto fisico o digitale? Il mercato musicale vive con i live

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Discutiamo spesso dell’editoria libraria, di come il digitale abbia influito sul mercato, delle fazioni di lettori schierati chi col cartaceo chi con l’ebook. La situazione non è poi molto diversa per il mercato musicale.
Dati alla mano: il mercato musicale vale 13,5 miliardi di euro registrando, nel 2014, un calo dello 0,4%. I supporti fisici (cd, vinile, ecc) detengono il 46%, e un altrettanto 46% appartiene al digitale (download legale, streaming), mentre l’8% spetta ai diritti di riproduzione per spot e colonne sonore e varie ed eventuali. In questo panorama si registrano dei picchi positivi: un +55%del vinile e un +39%dello streaming (Fonte: Style Magazine, giugno).
Come interpretare queste tendenze? Se da un lato gli intenditori e gli appassionati sono spinti da nostalgia per il vintage, dall’altro lo streaming si sta velocemente prendendo una bella fetta della torta. Fortunatamente l’uno non esclude l’altro, ma sarebbe bene tenere a mente che la musica, come qualsiasi cosa, si sta evolvendo.
Tempo fa abbiamo parlato di Spotify, uno dei maggiori servizi di streaming che offre agli utenti una libreria illimitata. Per gli appassionati lo streaming è una manna da cielo, ma cosa comporta per i musicisti?

Analogamente a quanto accade con il nuovo strumento di pagamento adottato da Amazon per Kindle Unlimited, “Pay-per-Page”, per cui l’utente paga non il libro completo ma le effettive pagine sfogliate ($0,006 a pagina), il servizio di streaming paga ai suoi artisti una cifra compresa tra $0,006 e $0,0084 a click, a seconda del livello di “famosità” dell’artista. Come ci ha illustrato Katia Del Savio in precedenza bisogna tenere conto che Spotify “trattiene il 30% degli incassi per ogni brano ascoltato e che il 70% va agli aventi diritto (case discografiche, editori ed artisti che si suddividono questa fetta a seconda degli accordi stipulati fra di loro)”. Non stupiscono dunque le perplessità di molti artisti che non ricevono adeguato riconoscimento economico per la propria musica. Taylor Swift ormai è famosa più per la polemica contro i servizi streaming − Spotify prima, e Apple Music dopo − che per le sue canzoni, e a suo tempo anche Björk aveva espresso le sue perplessità definendo lo streaming gratuito un “modello insano”, molto meglio invece un sistema come quello di Netflix: “prima vai al cinema e dopo un po’ il film è disponibile su Netflix”.

E gli esordienti? Se artisti del calibro di Taylor Swift si lamentano degli spiccioli, un musicista appena inserito nel folle mondo musicale non può certo sperare di arricchirsi grazie allo streaming. Ma, seguendo il principio per cui se ti giochi bene le carte sui social qualche click in più lo porti a casa, i servizi di musica gratuita possono fungere da buona palestra per gli artisti in erba.

Detto questo, in un mercato musicale in costante evoluzione, in cui la vendita di cd cala e quella di vinili aumenta, in cui lo streaming si insinua prepotentemente nelle case di milioni di ascoltatori, le esibizioni live e i concerti rimangono il punto fermo per tutti i musicisti (affermati e non) che vogliano trasmettere la propria musica. Come ha scritto Andrea Laffranchi su Style Magazine di giugno: “Il successo – e il conto in banca – di un artista dipende sempre più dai concerti; è l’attività live il tesoretto di cantanti e band.
Che gli artisti abbiano a disposizione lo stadio San Siro o il piano bar all’angolo della strada, alla fine ciò che conta è la musica e la capacità di farsi conoscere attraverso essa.

Federica Colantoni

Federica Colantoni nasce a Milano nel 1989. Laureata in Sociologia all’Università Cattolica nel 2013, pochi mesi dopo inizia il percorso di formazione in ambito editoriale frequentando due corsi di editing. Da dicembre 2014 collabora con la rivista online Cultora della quale diventa caporedattrice. Parallelamente pubblica un articolo per il quotidiano online 2duerighe e due recensioni per la rivista bimestrale di cultura e costume La stanza di Virginia.