Storie di Genere. Reggae, una musica, un popolo, una cultura

Get Up Stand Up, No Woman No Cry, Redemption Song. Chi non ha mai sentito queste celebri canzoni di Bob Marley? Insieme a un folto gruppo di altri successi interpretati dalla star giamaicana, sono questi i brani che hanno permesso il reggae di farsi conoscere in tutto il mondo. Ma come nacque e si diffuse la musica creata da un gruppo di artisti di una piccola isola dei Caraibi? Come ogni genere musicale che si rispetti, anche il reggae è frutto di diverse influenze artistiche e culturali. Sul significato della parola ci sono diverse teorie: alcune sostengono che reggae derivi dal nome di un tribù africana o da un termine di origine spagnola, altre che sia legato all’onomatopea dei suoni prodotti. Sta di fatto che la prima volta che compare in una canzone la parola “reggay” è il 1968 e si tratta di Do the Reggay dei Maytals, guidati dal carismatico Toots Hibbert. Facendo un passo indietro, negli anni ’50 il rhythm ’n blues e il rock & roll trasmessi dalle stazioni radiofoniche di New Orleans e Miami influenzano i giovani giamaicani della capitale Kingston, che li mescolano al calypso, proveniente dall’isola di Trinidad, alla rumba, che arriva dalla vicina Cuba, al mento, musica tradizionale giamaicana nella quale vengono usati prevalentemente strumenti acustici, allo ska, che si sviluppa sempre sull’isola proprio nella prima parte degli anni ’60 e che punta sul ritmo in levare e sull’uso degli strumenti a fiato, e al rocksteady, una sorta di ska più lento e dalle influenze soul. Oltre all’uso dell’irresistibile ritmo in levare, il reggae è fortemente caratterizzato dalla predominanza del basso sulla chitarra.

Mentre nel ’62 la Gamaica ottiene l’indipendenza dal Regno Unito, questa commistione di musiche, ritmi e strumenti viene riprodotta dai sound systems, furgoni sui quali i dj caricano impianti stereo con i quali girano l’isola. A metà decennio Chris Blackwell, inglese cresciuto in parte in Giamaica, fonda la Island, etichetta discografica che contribuirà notevolmente a diffondere il reggae in tutto il mondo, soprattutto attraverso la musica di Bob Marley, il quale alla fine degli anni ’50 arriva a Kingston spostandosi da un villaggio rurale, None Mile, dove nasce nel 1945. Fra la fine degli anni ’60 e i primi ’70 emergono figure come Desmond Dekker, Jimmy Cliff, e i Wailers, che oltre a Marley comprendono artisti di spicco come Peter Tosh e Bunny Wailer. Il reggae non può però essere considerato solo un puro genere musicale, ad esso si associano la religione rastafari, che ha radici in Africa e in particolare nell’Etiopia guidata dall’imperatore Hailé Selassié e nel pensiero di Marcus Garvey, controversa figura che nei primi del ‘900 professava il ritorno in Africa dei discendenti degli schiavi – la lotta per la giustizia sociale, il consumo di ganja (marijuana) e la tipica capigliatura con i dreadlocks.

Dopo aver pubblicato alcuni singoli senza particolare successo, Marley pensa che il modo migliore per emergere come cantante sia quello di militare in un gruppo con altri amici musicisti. Nel ’63 nascono così i Wailers, che si trasformeranno in Bob Marley & The Wailers con la pubblicazione Natty Dread, album che fra l’altro contiene il successo No Woman No Cry. Nel ’74 arriva per i Wailers il contratto con la Island, che con l’album Catch a Firelancia il gruppo a livello internazionale. Dal ’73 in poi Bob Marley & The Wailers girano in tour fra Europa e Stati Uniti e una star come Eric Clapton realizza la cover di I Shot the Sheriff, brano originariamente contenuto nel secondo album pubblicato per la Island, Burnin’, che comprende anche la notissima Get Up Stand Up. La versione di Clapton raggiunge il primo posto nella classifica statunitense dei singoli. Proprio nel ’73 esce il film The Harder They Come, interpretato e cantato dal bravissimo artista gamaicano Jimmy Cliff, la cui colonna sonora, con la presenza anche di molti altri artisti, contribuisce notevolmente alla diffusione del genere in levare.

La popolarità del reggae arriva al suo apice fra la metà degli anni ’70 e i primissimi anni ’80. Nel 1980 Bob Marley & The Wailers si esibiscono allo stadio San Siro di Milano, dove suonano davanti a 100 mila spettatori: il concerto più grande da loro mai realizzato. L’anno successivo segna la morte, a soli 36 anni, di Bob Marley, divenuto ormai icona (nonostante luci e ombre della sua vita privata) non solo per i meriti artistici, ma anche per il messaggio di riscatto sociale che comunica attraverso le sue canzoni. Anche se da allora i riflettori sulla musica gamaicana si sono affievoliti, il reggae non è mai scomparso (grazie anche ai numerosi figli di Marley, dei quali Ziggy è quello che ha avuto maggiori riscontri), si è mescolato sempre di più ai generi mainstream europei e americani ed è confluito in altre sonorità come il dub, nato già negli anni ’60 e tornato in voga nei ’90, il trip-hop, che si è sviluppato fra gli anni ’90 e i primi 2000, così come il reggaeton nato a Porto Rico.
Anche in Italia molti gruppi hanno fatto loro la musica giamaicana. La formazione più importante è quella degli Africa Unite, che ancora oggi, a quasi 35 anni dal debutto, produce dischi e si esibisce dal vivo nel segno del reggae. L’ultimo, intitolato Il punto di partenza, è uscito proprio pochi giorni fa.

Redazione

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