B.B. King, il bluesman dall’anima rock

Come in ogni leggenda blues che si rispetti la prima scena della vita di B.B. King non poteva che svolgersi in una piantagione di cotone dello stato del Mississippi. Ne abbiamo accennato qualche giorno fa in questa notizia sulla sua scomparsa.

Nato il 16 settembre 1926 a Itta Bena, il piccolo Riley è figlio di mezzadri e viene cresciuto dalla nonna. Il suo primo approccio con la musica avviene attraverso il canto gospel della Holiness Church, i jukebox e le stazioni radio che trasmettono blues, swing e country. A 18 anni si trasferisce nella vicina Indianola, dove molti anni più tardi verrà inaugurata la B.B. King Avenue. Quando non lavora come raccoglitore di cotone, Riley milita da chitarrista autodidatta nel quartetto da lui fondato, i Famous T. John Gospel Singers e nei fine settimana canta e suona blues da solo per strada.
Nel 1946 va per la prima volta a Memphis, patria della musica nera, dove man mano perfeziona la sua tecnica grazie agli insegnamenti del cugino Bukka White e viene ingaggiato come dj e performer dalle radio locali. È in quel momento che nasce il soprannome Beale Street Blues Boy, accorciato in Blues Boy King, per poi diventare B.B. King. Nel 1949 incide su disco i suoi primi brani, negli anni ’50 diventa una star regionale e comincia a farsi conoscere al di là del Misssissippi con la morbida Three O’Clock Blues.

Dopo aver conquistato il pubblico afroamericano, fra la fine degli anni ’60 e gli inizi dei ’70 giunge il momento di farsi apprezzare da una più vasta platea, grazie anche ad autori come Leon Russell e Carole King che scrivono brani per l’album Indianola Mississippi Seed pubblicato nel 1970. Nel 1968 partecipa al Newport Folk Festival (accanto a Joan Baez, Richie Havens, Janis Joplin, Pete Seeger, Joni Mitchell, Tim Buckley e altri) e successivamente ad altri importanti festival insieme agli artisti rock più noti dell’epoca, che contribuiscono a farlo conoscere al pubblico di giovani bianchi. Nel 1969 i Rolling Stones chiedono a King di aprire il loro concerto.

A riprova del suo eclettismo – il suo stile negli anni si muove fra blues, jazz, country, swing e pop – e a conferma del debito che il mondo del rock gli riconosce, nel 1987 il grande bluesman entra a far parte della Rock and Roll Hall of Fame. Spesso i riconoscimenti vengono dati a fine carriera, ma da quegli anni ’80 B.B. King ha proseguito i suoi tour in tutto il mondo fino a pochi mesi fa, all’età di 89 anni (il prossimo 4 luglio avrebbe dovuto tornare anche in Italia). Il suo stile chitarristico asciutto, essenziale ha ispirato numerosi musicisti neri e bianchi, fra i quali Eric Clapton e George Harrison.

Nel 2003 la rivista Rolling Stone lo inserisce al sesto posto della classifica dei migliori chitarristi di tutti i tempi, dietro solo a Jimi Hendrix, allo stesso Eric Clapton, a Jimmy Page, Keith Richards e Jeff Beck. Nel 1988, per il loro album Ruttle and Hum gli U2 chiamano il bluesman a interpretare When Love Comes to Town, brano che qualche sera fa, sul palco di Vancouver, la band irlandese ha rifatto dal vivo dopo 23 anni per omaggiare l’amico scomparso a Los Angeles nella notte del 14 maggio.

B.B. King non è quindi stato solo uno dei bluesman più conosciuti di sempre, ma soprattutto un artista che ha contribuito a diffondere il blues come linguaggio universale.

L’unicità di King sta nel tono vocale che viaggia fra il drammatico e il colloquiale, nella sua voce tenorile generosa, capace di donare un ampio spettro di emozioni sottolineate dall’estrema espressività, anche facciale, e dall’imprescindibile compagna della sua vita: la mitica chitarra Lucille. Per descrivere il suo rapporto con lo strumento ha detto: “Quando canto suono nella mia testa. Quando smetto di cantare con la voce, inizio a cantare suonando Lucille”.

Qui il video di The Thrill Is Gone, il suo brano più celebre.

Redazione

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