ArT in PiLls: la borghesia nelle tele cinquecentesche di Giovan Battista Moroni

Oggi vi parlo di Giovan Battista Moroni, un pittore bergamasco del Cinquecento, molto attivo a Bergamo e a Brescia. L’ho scelto perché la sua produzione artistica era molto vasta, ben noti sono i suoi dipinti a tema religioso, ma ancora di più sono i ritratti. Quadri intensi che gli hanno permesso di diventare uno dei più importanti ritrattisti della pittura rinascimentale. Il quadro che ho scelto è noto con il titolo de Il sarto, comprato dalla National Gallery nel 1862, dove si trova ancora oggi. Il soggetto mi ha incuriosita, perché Moroni, a differenza di altri ritrattisti a lui contemporanei, non si occupa solo di esponenti della nobiltà, del clero o della finanza a lui coeve. L’artista bergamasco diede spazio alla borghesia benestante dei suoi tempi, permettendole di farsi conoscere al pubblico.
Quello qui ritratto è da tutti conosciuto come Il sarto, ma in realtà, facendo accurate ricerche storiche, si è scoperto che più che un sarto, il protagonista della tela era un venditore di pannine (panni di lana venduti a pezzi). Il suon nome preciso non è mai stato trovato, però i diversi studiosi lo hanno associato ad uno dei membri della famiglia Marinoni di Desenzano d’Albino. Questa famiglia lasciò la bottega di pittura per darsi al commercio delle lane a Venezia.
Nel quadro quello che attrae è stata la capacità del pittore di avvicinare l’osservatore al soggetto dipinto e di dare al genere del ritratto un’umanità assente nei dipinti istituzionali. Il sarto emerge da un fondo scuro (una parete) nel quale si mescolano nero, grigio e bianco. La figura ha un ruolo centrale e si impone in tutta la superficie pittorica. Il giovane uomo indossa abiti che risentono dell’influenza spagnola e della Controriforma. Una giacca, o meglio una giubba di tela pesante che avvolge il corpo della figura fino al collo. Essa è di una tonalità chiara che mi ha ricordato il nocciola e il color tortora. Da notare la finezza nella riproduzione di ogni singolo bottone e dei motivi decorativi della stoffa. Inoltre, dal collo e dai polsi si vede fuoriuscire la stoffa decorativa a ondine, che a quei tempi veniva chiamata (no ridete) lattuga. In vita l’uomo tiene una piccola cintura in pelle marrone e sotto indossa dei pantaloni. Di essi vediamo solo la parte superiore rigonfia e pure imbottita. I calzoni erano completati da delle calzamaglie aderenti. Il colore rosso intenso presenta degli inserti decorativi dorati e contrasta con la tonalità chiara della giubba.
Altro aspetto interessante è il capo reclinato del sarto, come se avesse smesso di tagliare la tela per rispondere al richiamo di qualcuno. La voce che ha chiesto l’attenzione potrebbe essere quella di un cliente, del pittore e quindi, anche di noi osservatori che guardiamo il sarto, il quale a sua volta ci scruta con il suo sguardo intenso e penetrante. Il viso è bello giovanile, incorniciato da una barba leggera e curata e da esso traspare un senso di profonda umiltà e, allo stesso tempo, di attenzione e cura per il proprio mestiere.
In basso a destra si trova il tavolo dipinto di scorcio, posto davanti al sarto. Questo è il piano di lavoro del soggetto e su di esso si trovano gli oggetti del mestiere come le grandi forbici usate per tagliare la stoffa, e la stoffa stessa, rappresentata, in questo caso, da un panno nero.
Il quadro del Il sarto è un capolavoro non solo per la tecnica pittorica, tipicamente cinquecentesca, dove quelle tonalità un po’ grigie ricordano il Moretto, maestro del Moroni. Il dipinto è una vera meraviglia di umanità che permette ai posteri di scoprire qualcosa in più sulla classe borghese del Nord Italia.
Giovan Battista Moroni era nato attorno agli anni Venti del 1500 ad Albino. Il padre Francesco si occupava di pittura e architettura tra Bergamo e Brescia. La madre era Maddalena Brigati. A Brescia, Moroni entrò in contatto con Alessandro Bonvicino, detto il Moretto, dal quale svolse il proprio apprendistato fino al 1543, anche se la loro collaborazione durò fino al 1549. Moroni lavorò per il cardinale Cristoforo Madruzzo durante il Concilio di Trento del 1545 e, nel 1552, il pittore tornò nella sua Bergamo, dove, in breve tempo venne consacrato come grande artista e ritrattista dell’aristocrazia e nobiltà della città.